Fra
TURIBOLO e NATEL
Ordinati 4 diaconi permanenti, uno è dei nostri
Di Roby Noris
La nostra diocesi
ha quattro nuovi diaconi permanenti, quattro padri di famiglia che dopo un lungo
cammino di preparazione e di scelte che hanno coinvolto mogli e figli, sono
oggi al servizio della comunità. Non sono preti mancati o preti di seconda
categoria, ma una forma antica e nuova nello stesso tempo, di servizio segnato
dal sacramento dell'ordine, da uno dei tre gradini dell'ordine sacro: Vescovo,
sacerdoti e diaconi.
Ho cercato di capire meglio queste cose realizzando il servizio televisivo che
abbiamo mandato in onda a Caritas Insieme sabato 17 gennaio. Riascoltando per
due giorni in studio le testimonianze e le riflessioni di questi nuovi diaconi
e delle loro mogli mi sono chiesto cosa fosse la particolarità, l'aspetto
che mi colpiva di più.
Fra i quattro diaconi c'è Dante Balbo di Caritas Ticino: è uno
di noi, lavoriamo affianco da anni, eppure quando alla fine della preghiera
di qualche minuto che facciamo tutti giorni alle 9 nella sede centrale a Lugano,
il lunedì dopo l'ordinazione Dante ci ha benedetti, ho intuito che lì
cominciava anche per Caritas Ticino qualcosa di diverso, c'era insomma qualcosa
di più. Dante è sempre lo stesso evidentemente, con gli stessi
difetti e le stesse virtù, ma ora è investito di un mandato che
la Chiesa gli ha conferito a partire dal suo sì ad una chiamata.
In un'epoca caratterizzata troppo spesso dalla mediocrità, dall'uniformità
e dal livellamento verso il basso, mi sembra che in queste quattro ordinazioni
ci sia un forte richiamo per una scelta radicale e definitiva, una scelta controcorrente,
per quanto riguarda la fede. In fondo si tratta di quattro famiglie normali,
che sicuramente da molti anni vivevano un cammino di fede e di servizio alla
comunità, che però ad un certo punto rispondono ad una chiamata
ancora più radicale e definitiva. Grinta e radicalità si muovono
in direzione opposta a quella della mediocrità, in ogni campo, non solo
quello della fede.
In un incontro di formazione dei collaboratori di Caritas Ticino prima di Natale,
l'augurio poco sentimentale è stato un richiamo netto e senza mezzi termini,
al fatto che solo una scelta radicale di tutti noi che lavoriamo in quest'organizzazione
nata per fare della pastorale della carità, ci eviterà di scomparire.
È possibile crogiolarsi nel calderone di un lavoro sociale all'insegna
del buonismo finché ci sono soldi in abbondanza, ma poi quando finiscono,
o diminuiscono, si piagnucola lamentandosi perché "non c'è
più la solidarietà di una volta", e si è spazzati
via. Caritas Ticino ha bisogno di operatori che facciano sempre più una
scelta personale radicale per la Chiesa e solo per questa, altrimenti ci sono
abbastanza organizzazioni umanitarie e filantropiche per cui andare a lavorare.
Un diacono permanente in Caritas Ticino mi richiama questo bisogno assoluto
di radicalità: non nell'essere buoni o perfetti, ma nel senso di aderire
fino in fondo a un progetto, costi quel che costi.